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09/12/2010
Vivaismo e
florovivaismo, settori trainanti dell'economia pistoiese
Cosa si intende per florovivaismo? Realtà tangibile e
importante fattore trainante dell'economia pistoiese? Con il termine "florovivaismo"
si fa riferimento alla definizione adottata dall'Associazione Internazionale
dei Produttori dell'Orticoltura che fa capo all'Istituto di giardinaggio
dell'Università di Hannover, secondo cui "nell'attività di florovivaismo si
contemplano: produttori di fiori da recidere (vedi nello specifico Pescia) e
di fogliame ornamentale; produzioni di piante in vaso per interni, di piante
da balcone, di piante da esterno, bulbicoltura, produzione di piante in
vivaio comprese le frutticole e forestali".
In Italia il florovivaismo rappresenta il 5% dell'intera produzione agricola
nazionale. Per l'ampio assortimento produttivo che va da fiori recisi alle
piante da appartamento a quelle da giardino e parchi; da talune produzioni
con peculiarità produttive tipo gli agrumi ornamentali in vasi di
terracotta; olivi e tutte le piante mediterranee, l'Italia è certamente dal
punto di vista commerciale il paese più eterogeneo e interessante. La
Toscana in Italia si pone al 1° posto per la produzione di fiori e piante
ornamentali. La nostra regione rappresenta per eterogeneità e qualità dei
prodotti un territorio unico, in cui si possono trovare fiori e piante
tipiche di tutte le zone del mondo oltre a quelle più strettamente legate al
territorio (vedi ad esempio l'olivo). Vera leader per il vivaismo
ornamentale che guarda caso ha la sua maggior concentrazione nella pianura
pistoiese.
Premesso ciò è importante sapere cosa s'intende per "azienda vivaistica".
Essa è un azienda con peculiarità particolari che si colloca rispetto
all'azienda agraria "classica", sia per gli obiettivi produttivi che per le
particolari combinazioni ed entità di fattori combinati. Per obiettivi
produttivi si fa riferimento da una parte a quelli relativi al materiale di
produzione destinato a determinate "aziende agricole" (viti-olivicole,
frutticole, ecc.) dall'altro alla fornitura dei materiali finiti o di prima
fase per attività ornamentale. Le aziende in questione si organizzano "per
esigenze produttive" su fondi (capitale fondiario) dotati di tutti i
manufatti stabilmente investiti sul suolo ed atti alle sequenze produttive e
alle tecniche suggerite per determinati scenari. Quindi troveremo ad
esempio, piantagioni madri, piantagioni in attesa di maturazione
commerciale, ampi spazi all'aria aperta per la sosta delle piante
trasportabili e già commercializzate; ampi fabbricati di vari ordine e
specie per ospitare e/o riparare piante in arrivo e/o partenza.
Eventuali fabbricati atti ad abitazione di possibili salariati e/o di
coltivatori diretti che hanno una azienda a conduzione familiare ecc. dunque
riepilogando potremmo dire che l'azienda florovivaistica è un fondo o
capiatle fondairio costituito da terreni originari e da opere stabilmente
investite. Tale fondo derivato, come ben si capisce in parte da un fattore
naturale ed in parte dall'azione dell'uomo determinato da fattori
imprenditoriali di rendita e/o quasi rendita. Per il decollo economico della
produzione aziendale occorre chiaramente oltre alla sinergia dei requisiti
sopracitati una valida capacità imprenditoriale. A tal proposito è bene
evidenziare che sul piano concettuale fra azienda agraria ed impresa si usa
una distinzione (il Serpieri contrappone l'azienda agraria - unità oggettiva
e pertanto costituito dall'insieme dei fattori produttivi disponibili in un
certo momento e in una certa zona; - dall'impresa agraria - unità soggettiva
- frutto quindi della volontà imprenditoriale); anche se nell'uso corrente
del parlato i due termini si contrappongono. Non sempre è stato come oggi lo
vediamo il territorio pistoiese, soprattutto la piana, caratterizzata da
colture vivaistiche a pieno campo, vasetteria ecc.
Una volta … e non occorre regredire molto nel tempo tale paesaggio appariva
assai diverso per colture. Da sempre territorio a vocazione rurale con
tipologie produttive tradizionali. Fino alla II guerra mondiale e durante
essa le risorse della famiglia contadina erano molto limitate (anche se non
per tutti); vi erano alcuni che potevano contare su maggiore sussistenza
grazie ai fondi produttivi più consistenti e/o fortunati e/o alle
integrazioni di compravendita di bovini, latte, fieno ecc. La vita dei campi
era per lo più scandita da ritmi di lavoro dei campi che scaturivano da
"tempi di luce" e si - perché si lavorava da "sole a sole". Nel senzo
proprio stretto del termine. I ritmi di lavoro, i pasti quotidiani, il cibo
erano assai differenziati dalle stagioni e totalmente diversi da inverno a
estate. Allora la stagionalità era rispettata in tutto non solo nelle
produzioni ortofrutticole. Per lo svago il tempo era infinitesimale e i i
giorni di "festa" e nelle grandi festività era d'obbligo partecipare alle
funzioni religiose e si poteva eccedere in qualità e quantità nel cibo
(l'eccedere aveva comunque un significato assai diverso da quello odierno).
L'istruzione era scarsissima: da molti considerata un perditempo. Come
stabilito dai "patti colonici" che regolavano la vita in campagna (per altro
la formula di conduzione fondiaria era la mezzadria) l'anno economico
iniziava il 1° novembre.
Per San Martino c'era la tanto attesa festa liberatoria (non previsto dal
calendario canonico). Dobbiamo considerare prima di tutto il fenomeno della
nascita del florovivaismo a Pistoia e le novità riguardanti il paesaggio,
che iniziò un notevole mutamento fin dal primo XIX secolo con l'affermarsi
del "gusto romantico" che suggeriva canoni di lettura diversi rispetto
all'uso delle piante ornamentali; a comiciare dai giardini delle numerose
ville padronali che avevano iniziato a modificarsi secondo il gusto imposto
da questaa nuova cultura. Questa nuova cultura del giardino affermatosi in
Europa del nord a metà '800 prese vigore anche in Italia e nella nostra
vicina Firenze, dove già esisteva una tradizione. Nacquero orti sperimentali
che destarono interesse anche nelle istituzioni pubbliche, le quali
cominciarono a creare grandi parchi cittadini. Anche famiglie facoltose
acquistarono velocemente questa nuova cultura, le loro dimore
s'ingentilivano maggiormente grazie all'arricchimento continuo dei giardini
secondo i nuovi gusti e tendenze.
Quando Firenze divenne capitale furono apportate grandi innovazioni e
trasformazioni urbanistiche; ampi spazi destinati a verde. Istituzioni
tradizionali quali l'Accademia dei Georgofili e la Reale Società
dell'Orticoltura iniziaraono a dare impulso a nascenti organismi di
consuleza tecnica su tipologie colturali e lotta antiparassitaria nei vari
territori. Pistoia, ancora chiusa dentro le mura, conteneva nel suo interno
numerosi orti e giardini annessi alle dimore padronali ed ai numerosi
conventi e monasteri ancora esistenti. Si trattava di terreni destinati ad
un uso prevalentemente orticolo, legati all'approvvigionamento dei bisogni
familiari sia delle comunità quanto delle famiglie benestanti che ne
potevano disporre. Con l'evoluzione del gusto, la scoperta del giardino
esteticamente inteso come arredo e prolungamento dello spazio abitativo, la
passione speculare verso la natura, ed anche la moda che proveniva dalla
vicina Firenze, indussero alcune facoltose famiglie a fare di questi terreni
cittadini un uso diverso introducendo l'arte del giardinaggio ed affidando a
persone esperte la cura e la coltivazione di essi.
Fu proprio uno di questi, tale Antonio Bartolini, l'uomo a cui si deve
attribuire la nascita del vivaismo a Pistoia; persona modesta, giardiniere
di due facoltose famiglie pistoiesi dei Bozzi e dei Bracciolini, animato da
una passione smodata verso l'arte del giardinaggio e desideroso di
apprendere il più possibile nozioni e tecniche sulle sementi e sulle piante,
fece di tutto per entrare in contato con altri giardinieri delle ville del
Circondario e, soprattutto introdursi a Firenze dove le tecniche di
coltivazione potevano sfruttare la ricerca scientifica. Con l'esperienza
acquisita, il primo orticoltore pistoiese si mise in proprio su un piccolo
appezzamento di terreno preso in affitto con l'aiuto del padre; nacque il
primo vivaio pistoiese che ben presto si trovò a fare i conti con la
costruenda ferrovia dell'Italia Centrale (porrettana) che doveva passare
proprio sul piccolo vivaio. Ma tale attività potè continuare grazie
all'aiuto dell'ingegnere della ferrovia stessa, il francese Mellon, botanico
e sensibile alla cultura florovivaistica del suo paese, che riuscì a trovare
altri terreni da coltivare.
Gli affari, anche per l'accorta commercializazzione, prosperarono e
indussero altri a proseguire l'esempio che trovò, sempre negli orti della
città, la possibilità di espandersi. I coltivatori diretti e i piccoli e
grandi proprietari del Circondario, che avevano a disposizione terreni e
capitali, non ritennero, o non vollero, avventurarsi in questa nuova
attività. Il fenomeno fu dunque esclusivamente cittadino. Il diffondersi
lento fra i giardinieri pistoiesi della coltura delle piante si incontrò con
il bisogno crescente che le trasformazioni fiorentine dei viali e dei parchi
avevano di piante da mettere a dimora. La nuova attività rimase marginale
fino alla mostra della Federazione Orticola Italiana di Roma del 1886, dove
i fratelli Bartolini, subentrati al padre deceduto, ricevettero il
riconoscimento di una medaglia d'argento. Fu questa una svolta determinante
per il vivaismo; un interesse nuovo, un'attenzione più marcata, convinsero
diversi piccoli imprenditori a dedicarsi a questa nuova attività.
Si moltiplicarono le mostre nel Circondario pistoiese e la partecipazione a
quelle organizzate fuori; alla mostra del Circondario del 1886 si iscrissero
sedici concorrenti ed alla fine dell'Ottocento le ditte e gli stabilimenti
di orticoltura in Pistoia erano più di quindici e già comparivano i nomi di
imprese più qualificate come i pionieri Fratelli Bartolini, Martino Bianchi,
Fedi, Capecchi, Bianco Bianchi. La consacrazione del vivaismo pistoiese si
ebbe nel 1899, in una mostra organizzata a Pistoia per onorare il centenario
della nascita di Niccolò Puccini.
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