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13/09/2011
Viaggio alla scoperta
della cucina
Viaggio alla scoperta della cucina. Durante il
predominio romano, l'agricoltura mantiene un ruolo di primo piano; del
resto, i romani pur considerando con sdegno e sussiego i vinti etruschi,
incorporarono gran parte della loro civiltà e tradizione. Non poteva essere
altrimenti, visto che gli etruschi avevano da sempre esercitato una
superiorità storica e culturale di fronte alla quale i romani apparivano da
vincitori i "vinti". Prova ne è il fatto che divenne di gran moda, nelle
famiglie bene romane, mandare i figli a studiare in Etruria.
L'agricoltura continua a svolgere un ruolo di primo piano, a parte la
diversificazione del modello romano, per quanto riguarda la tipologia
attraverso la quale veniva praticata ( il territorio veniva in parte
frammentato per la costituzione di piccoli poderi da attribuire ai veterani,
in parte si cominciò a costituire il "latifondo", di cui per lo più era
proprietario l'Imperatore).
Ciò comportava di conseguenza, una differenziazione nel tipo di
alimentazione fra le classi plebee - pasti frugali, basati sui prodotti
coltivati sul proprio fondo - ed una alimentazione molto più ricca e variata
con uso, anche eccessivo, di carni per le classi patrizie (i latifondisti).
Ma questa, non è forse una peculiarità tipica della nostra tradizione,
condivisa certamente fino ai tempi dei nostri nonni e per alcuni di noi per
i nostri padri ?
La cucina romana era comunque in buona parte vegetariana; largo uso, come
per noi, di olio - grano - vino -cereali e ortaggi. Interessante fu lo
sviluppo di numerose possibilità di fare il pane, fino ad allora fatto
essenzialmente con farina di farro. Il pane acquistò talmente importanza che
si cominciò a prepararlo di tutti i tipi, fino ad arrivare all'invenzione di
focacce e di una specie di pizza fatta con l'uso, oltre che dell'olio, anche
dello strutto.
Trionfa la fantasia dei fornai con creazioni di pani integrali, conditi,
bianchi (l'imperatore Augusto era goloso del pane bigio); la farina di grano
impastata con succo d'uva dava origine ad una sorta di pan dolce che veniva
inzuppato in bevande altrettanto dolci.
Anche il pesce era molto in uso tra i romani.
Quindi, come oggi, la cucina dell'antica Roma era varia e soprattutto c'era
di tutto: piatti semplici (plebe) e piatti di alto livello gastronomico
(patrizi).
Cibi tipicamente mediterranei ed altri di origine nordiche e orientali che
però non misero radici così profonde, ma costituirono una diversificazione,
nella Roma, che, nell'età imperiale, era diventata la metropoli del mondo
conosciuto; in cui conferivano tutte le genti con i loro diversi usi e
costumi.
Nel millennio che segna il passaggio dall'età romana alle signorie, il
nostro paese conobbe uno dei periodi più bui per carestia e fame, che
procurarono vere e proprie stragi, ma nel contempo aguzzarono anche
l'ingegno e la fantasia creativa delle popolazioni, che inventarono piatti
semplici con le poche cose offerte dalla natura. Il medioevo va distinto in
due periodi. L'alto medioevo, durante il quale la popolazione era sparsa su
un territorio molto vasto e poco colonizzato, era ancora in uso la caccia,
così l'uomo trovava buone risorse per la sopravvivenza.
Dall'età Carolingia in poi cominciarono ad essere fissate alcune
limitazione, soprattutto alla caccia (si poteva cacciare nella proprietà
signorile o del potente ma sempre e solo pagando un tributo); fino ad
arrivare alla Legge dei Potentos, che prevedeva pene rigide per il
bracconaggio. Dall'età comunale in poi, man mano che le proprietà divengono
privilegio di pochi, i ceti rurali avevano sempre più difficoltà a cibarsi
sufficientemente ogni giorno, poiché a loro veniva totalmente preclusa
l'attività "nobile" della caccia.
Con l'età moderna, e precisamente con le signorie rinascimentali, il cibo
assume un concetto totalmente diverso da quello dell'alto medioevo e diventa
uno status - simbol, cioè non solo alimento ma ostentazione di ricchezza e
potere. Pensiamo che il re dei Franchi (Ottone) era considerato esempio di
forza e coraggio perché grande mangiatore. Il signore rinascimentale non è
"grande" per la quantità di cibo che riesce a mangiare ma perché può
permettersi di imbandire tavole ricchissime, può organizzare "banchetti" per
dimostrare la propria ricchezza e quindi il proprio potere.
E' soprattutto con i Medici in Toscana che questo concetto viene ampliato al
punto che per le nozze di Lorenzo con Clarice Orsini nel 1469 furono
imbandite tavole che invadevano le strade fiorentine, affinché anche il
popolo potesse essere coinvolto; il banchetto democratico era organizzato su
tavole finemente imbandite e decorate. Inizia il periodo in cui si da
importanza a consuetudini e regole di buone maniere (oggi diciamo bon-ton),
che nel '500 si assommeranno nel "galateo di monsignor Della Casa".
Durante l'epoca rinascimentale vere e proprie opere vengono scritte sulle
pratiche di cucina, il cibo vissuto come momento di cui godere, non solo per
un semplice piacere fisico ma anche per il conseguimento della salute fisica
e psichica.
La cucina diventa un "ARTE". "L'opera" di Scappi, del 1570, è il primo e più
importante testo sull'argomento. L'autore persegui un progetto complessivo
di confronto tra le varie tradizioni regionali, per arrivare a trovare un
equilibrio che portasse a dar vita ad una "Tipicità Culinaria Italiana".
Altri (es. Teofilo Falengo o Messisbugo nel suo "Banchetti" del 1549) erano
rimasti legati ad una cultura gastronomica ben definita ai propri ambiti
regionali di vita o di lavoro.
Fino al XVIl° secolo assistiamo ad un notevole sviluppo di ricettari e
trattati di cucina; ma dalla fine del '600 e fino alla metà del 700 la
letteratura italiana sulla gastronomia ha una pausa. Questo è il momento in
cui l'Italia come il resto d'Europa, subisce il fascino ed il dominio
francese che incide e condiziona anche le scelte alimentari e le
preparazione gastronomiche. Verso la fine del 700, ed in modo particolare
dopo la pubblicazione del "Cuoco galante" di Vincenzo Conado (Napoli 1786) a
fianco ai sapori francesi riemergono e si rivalutano i prodotti delle
proprie campagne, colline, ecc.
Dunque abbiamo un ritorno prepotente alle esaltazioni delle derrate locali,
che vanno a costituire piatti tipici di cui sono ricchi i "ricettari
municipali" editi nel corso del '800. Attraverso questi libri che propongono
le tipicità gastronomiche delle varie zone e territori si fondono le basi su
cui si svilupperà l'identità gastronomica italiana con contorni ben
definiti, passando attraverso la codificazione dell'Artusi.
L'Artusi porta in sé già dalla nascita (1821 a Forlinpopoli) i canoni della
sua cucina basata sulla cultura toscana e romagnola. Il suo "Scienza in
cucina" diventa il punto di riferimento dell'arte culinaria italiana anche
se l'autore definisce "piatti italiani" soltanto: il lesso rifatto e i
tortellini, a tutti gli altri da connotati regionali. L'arte culinaria è
patrimonio culturale attraverso cui si esprime: gusto, carattere e tipicità
italiana.
Durante il ventennio ha inizio un lavoro di completamente attraverso le
pubblicazioni di manuali, libri, inventari atti a promuovere prodotti e
ricette tipiche regionali per far conoscere il mangiare all'italiana, anche
attraverso manifestazioni, quali mostre sagre ed altro. Sintesi di questo
lavoro è la pubblicazione della "Guida Gastronomica d'Italia" del Touring
Club (1931).
Successivamente la guerra riportò la maggioranza della popolazione alla
fame. Durante questo periodo si codificano come piatti tipici alcune tra le
preparazioni più povere in ingredienti e condimenti (per forza di cose) ben
definiti per zone in base a ciò che la natura riusciva a donare (castagne e
patate in montagna - frutti ed erbe in pianura, pesce sulla costa, ecc).
Ed oggi schiavi di ritmi di vita che condiziona i più ad alimentarsi male e
in fretta; ormai abituati all'omologazione dei sapori (tutto ha il sapore di
tutto); schiavi di falsi miti quali ad es. che l'olio di semi sia più
leggero di quello d'oliva, o che la pasta faccia ingrassare e troppo altro
ancora. Oggi, dicevo, ci stiamo finalmente rendendo conto che i vecchi
sapori, da tanti conosciuti da altri sentiti dire, forse vale la pena
andarli a riscoprirli o a scoprire.
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